H O M E P A G E

In India con zia Alberta

Febbraio 2004

Caro Michele,
incomincio a pensare al tuo soggiorno qui, e quindi devo sapere la data precisa del tuo arrivo per prenotarti una camera... poi volevo sapere se vuoi rimanere qui alcuni giorni e poi fare un unico tour alla fine del quale continuare direttamente da Hampi su Bombay oppure ritornare qui, sempre per il problema camera... Ricordati di portare il sacco a pelo e anche la guida del centro India che io ho lasciato a casa per il problema del peso. Il giorno 17 c'è una grande festa a Gokarna ma temo sia una grande sfacchinata andarci il giorno dopo il tuo arrivo...
Ti aspetto e chissà che arrivi insieme a te anche un po' di musica. Salutami il coro e.. le cantanti e a te il mio affettuoso abbraccio
Alberta


Cara Alberta,
ho ricevuto la tua posta; noto con piacere che ormai hai preso familiarità con il mezzo informatico e che le e-mail non ritornano più indietro. Il mio programma è il seguente:
parto da Milano il 14 febbraio alle ore 10,20 ed arrivo a Bombay alle 23,05.
Il 15 mattina alle 5,50 ho il volo Bombay-Goa, dove prevedo di arrivare alle 6,45. Il tempo di raggiungere Palolem e... la vacanza comincia. Pensavo di fermarmi al mare fino al 17 febbraio; l'alternativa di Gokarna mi tenta molto, valuta un po' tu. Pensavo di partire per il nostro giro il 18, per circa una settimana Hampi, Badami dopodichè rientrare a Bombay via Bijapur; riparto per l'Italia il 29 mattina all'1,10. Che ne pensi? Può andare?
Attendo tue notizie, hai un recapito telefonico in India? Ci vediamo presto,
namaste Michele

14-15 Febbraio, Palolem
Mi dispiace molto chiudere le persiane della grande porta finestra che mi separa dal mare di Spotorno, ma anche questa volta è ora di partire. Lasciata Genova c'è solo il grigio di una sera fredda di Milano e del treno che alle sette di mattina mi porta a Malpensa. Il volo dell'Alitalia è di una puntualità sconcertante, anzi un po' in anticipo; sposto l'orologio avanti di quattro ore e mezzo e sono le undici di sera quando il 757 della compagnia di bandiera atterra all'aeroporto di Mumbai, così è stata ribattezzata la città di Bombay da quando il governo indiano in un impeto nazionalista ha deciso di ripristinare i nomi antecedenti alla colonizzazione inglese. L'aeroporto è molto "indiano" nell'arredamento, nella pulizia, nei bagni, nel caldo appiccicoso. Recuperato il bagaglio, seguo le indicazioni per il free shuttle, un autobus che porta al terminal dei voli interni. Aria condizionata a palla, chiacchiero con un ragazzo indiano, un informatico che lavora negli Stati Uniti, e che sta tornando a casa per un po' di ferie.
Scendo al terminale sbagliato, quello della compagnia Jet Airways, devo aspettare il bus successivo per arrivare al terminal dell'Indian Airways, con la quale devo volare domani mattina alle 5,50 per Goa, uno di quei nomi geografici dall'enorme potere evocativo, tre lettere, di cui due vocali per ritornare agli anni Settanta, la Goa degli hippies, con le spiagge, le palme e ... le canne.
Mi attende una notte nell'aeroporto dei voli domestici di Bombay, sono rassegnato all'attesa. All'una e mezzo apre il banco del check-in e spedito il bagaglio non mi rimane che attendere la mattina. La notte è lunga, e non porta consiglio, rimango sveglio leggendo i libri che mi sono portato. Alle 5,50 l'airbus dell'Indian Airlines è in pista, ma per un problema tecnico (si sente un gran martellare) si parte alle sette di mattina. Aspettando la nuova partenza mi diletto a leggere le inserzioni matrimoniali sul Sunday Times of India che ci è stato distribuito. C'è un'infinita casistica di combinazioni le più delle quali sono a me oscure; c'è la sezione per quelli che non si fanno problemi di casta (pochi per la verità), quella più corposa dei bramini che cercano bramine, e decine di altre categorie, ce ne è anche una per gli ingegneri (sarà un monito del destino?). Alle sette finalmente l'aereo si solleva su Bombay avvolta dalla foschia mattutina e dopo poco meno di un'ora comincia l'atterraggio in un paesaggio tropicale molto bello, tra fiumi orlati di palme, verde e mare.
All'uscita dell'aeroporto non c'è quella situazione tipica del terzomondo, con assalto al turista da parte di tassisti più o meno abusivi, procacciatori di clienti per hotel e loschi individui vari. Tutti sembrano molto tranquilli. Mi reco al gabbiotto dei taxi e pago in anticipo le ottocento rupie per la corsa fino a Palolem. Salgo su un minivan per questa nuova avventura indiana; bastano pochi secondi per farmi tornare alla mente la guida spericolata dei drivers indiani, i sorpassi ed i continui colpi di clacson. In compenso l'India che mi si presenta è ben diversa dagli stereotipi: Goa non è India, dicono gli esperti. Il paesaggio è dolce, piccoli villaggi, chiese retaggio della dominazione portoghese e affollate per le funzioni domenicali, il verde delle risaie e delle piantagioni. In compenso il driver riesce a beccarsi una multa, per non avere indossato la bianca casacca di ordinanza: strano in paese dove sono considerati normali i sorpassi in curva e la guida contromano. In poco più di un'ora eccoci a Palolem Beach, il taxi mi scarica sulla spiaggia dove mi incammino a piedi verso l'Allegro resort, dove vive Alberta che riabbraccio dopo il lungo viaggio.
Ricapitolando: da Spotorno sul Mar Ligure a Palolem sull'Oceano Indiano ci vuole:

Alberta trascorre quattro mesi all'anno in India, da gennaio ad aprile, quando ritorna a Padova dove vive. La ritrovo a Palolem dopo che il taxi mi ha lasciato sulla spiaggia dove finisce la strada e ho camminato un po' sulla sabbia prima di trovare "la allegro resort"; Alberta abita al numero quattro, un grazioso e spartano cottage rosa, proprio sulla spiaggia, un po' una Varigotti con le capanne. Il posto è da cartolina, un golfo a mezzaluna perfetto, orlato da altissime palme da cocco, che si sporgono sulla spiaggia bianca e quasi deserta, sulla quale riposano le barche in legno dei pescatori. La civiltà è arrivata fin qui, che a detta di Alberta fino a pochi anni fa era completamente selvaggio,una sorta di Puerto Escondido in terra indiana, posto ideale per chi è in fuga da se stesso e dal mondo ed in cerca di paradisi più o meno artificiali. Prendo possesso della stanza che Alberta mi ha prenotato, subito dietro in mezzo al palmeto, dove razzolano in libertà galline e maialini. E' una stanza molto essenziale, con veranda e bagno privato, con il tipico sciacquone "a secchio". Ho bisogno di un po' di relax, sono più di ventiquattro ore che non dormo, Alberta riceve una visita dopo l'altra da parte della piccola comunità europei lì stanziale; conosco il suo cane ed i suoi vicini di stanza, una simpatica coppia francese, Michel e Michele. La giornata trascorre tra pisolini, camminate sulla spiaggia e spuntini a base di insalata di frutta con yogurt e miele. La sera si osserva il rito del tramonto, e dell'enorme palla di fuoco che va a nascondersi dietro la Green Island, un'isola al termine della spiaggia, raggiungibile con la bassa marea. Mi sto piano piano mollando, la tensione accumulata negli ultimi mesi si sta sciogliendo, il posto è uno di quelli che invita a fare il meno possibile. Decidiamo di cenare a casa, nei tavolini sulla spiaggia del resort che ci ospita. Logicamente ordiniamo una megagrigliata di pesce, adatta alla circostanza, un enorme kingfish con contorno di gamberoni. Il pesce è fantastico e mi riempio a dovere. Come tutte le sera Alberta si reca per il dopocena al ristorante Magic Italy, di proprietà e gestito da due italiani, Claudia e Titta. Mi ritrovo al tavolo con un bel gruppo di italiani, che qui passano parecchi mesi all'anno, ce ne sono di tutti i tipi, un bel campionario di gente. Complice la mia stanchezza Alberta riesce a strappare il mio consenso per organizzare la sera successiva un concerto di musica italiana, ed in pochi istanti mi ritrovo un pavarottino in formato esportazione per l'India. Oddio se penso alle mie serate dopo dieci ore di lavoro, la spesa, i fornelli direi che questi espatriati non se la passano proprio male, chiacchiere al ristorante, caffè italiano, dolce portoghese tipico di Goa, la Bebinca; il finale me lo immagino solamente, tutti a casa a farsi una bella canna; io invece a mezzanotte sono a nanna.

16-17 Febbraio, Palolem
Mi sveglio con il gracchiare dei corvi, quegli orribili corvi neri che in India sembrano essere un po' ovunque e che mi avevano colpito anche tanti anni fa all'uscita dall'aeroporto di Madras. Vado in spiaggia e faccio colazione con Alberta ed i francesi, scramble eggs e papaya juice. La spiaggia a quest'ora del mattino è deserta, ne approfitto per il primo bagno dell'anno. Usciamo in paese, in realtà è solamente una via che inizia dall'arco sulla spiaggia, con negozietti e ristorantini. Si costruisce qualche costruzione in muratura ed i cantieri colpiscono per la presenza delle donne, che svolgono i lavori più duri, elegantissime nei loro sari colorati, e il viso ricoperto di gioielli. Mi compro il telo da spiaggia e le ciabatte infradito di plastica; Alberta va a trattare la macchina per il nostro giro all'interno dell'India. Finiamo a prendere un caffè al Magic, dove Claudia sta organizzando la cucina per la cena, e impartisce disposizioni ai lavoranti indiani che stanno preparando autentiche lasagne italiane, e stanno impastando con cura la sfoglia. Per la musica della serata mi dovrò alternare con due suonatori indiani, che portano la tastiera e l'attrezzatura a corredo, amplificatore e microfoni. Me ne torno in spiaggia per la tintarella, e me ne sto sdraiato fino a quando il solleone mi costringe a rientrare. Che sofferenza! sole, spiaggia, buon cibo e per il pomeriggio mi prenoto un bel massaggio aryuvedico, quello tipico indiano fatto con oli profumati caldi, un'ora che passa velocemente e ti lascia unto come un pollo da fare arrosto. Alle otto, cambiato di tutto punto sono al ristorante per la serata italiana. La lasagna è buonissima, ma io sono un po' agitato, non riesco a dire di no ad Alberta, in particolare quando si tratta di musica. Io tenderei ad essere perfezionista ed in teoria mi trovo a disagio senza un buon pianoforte, gli spartiti, i vocalizzi, e poi invece mi ritrovo ad esibirmi nelle situazioni più assurde. Comunque eccomi alla fine in un ristorante italiano in una sperduta località dell'India a cantare Caruso, o sole mio, il cielo in una stanza e tutto il mio repertorio italiano e internazionale. La serata si risolve bene e Claudia non finisce di ringraziarmi e farmi i complimenti. Chissà che in futuro non me ne vada in giro a suonare per il mondo: rientrato in camera mi accendo una bella canna e buonanotte.
Niente di particolare da annotare la giornata successiva, sveglia tarda, colazione, passeggiata in spiaggia con la bassa marea, la solita fruit salad per il pranzo e nel pomeriggio ancora spiaggia. E' bello guardare la gente, gli indiani che giocano a cricket, le donne che fanno il bagno tutte fasciate nei loro sari, le venditrici di frutta, i pulisciorecchi, i santoni in meditazione, i turisti che si riposano immersi nella tranquillità tutta indiana. Verso sera mi unisco ad Alberto, un ragazzo di Bolzano ed Anna, una ragazza danese, per andare a vedere il tramonto, questa volta sulla punta meridionale della baia. Venti minuti di cammino ed arriviamo in mezzo ad un anfiteatro naturale di rocce laviche per ammirare proprio di fronte a noi il sole, sorto dal Gange, che come ogni giorno torna ad immergersi nell'oceano Indiano. Rimaniamo ad attendere i pipistrelli che dopo dieci minuti precisi escono dalla loro tana nelle rocce e cominciano a volare con la velocità di un razzo. Per cena Alberta ci porta da un suo ristorante di fiducia, Mamooth, specialità pesce, siamo un bel gruppo. Grande mangiata di pesce arrosto e gamberi e bellissima cameriera dalla vita difficile, almeno così racconta Alberta, che come in ogni paese che si rispetti conosce gli affari di tutti; dure storie di donne indiane, sottoposte in tutto ai padri prima ed ai mariti poi. Dopo cena al solito Magic Italy, ormai faccio parte anch'io del gruppo degli espatriati, e poi a letto per l'ultima notte a Palolem.

18 Febbraio, Hampi
Bisogna abbandonare gli ozi di Palolem, e riprendere a fare il viaggiatore sul serio, bisogna un po' soffrire, altrimenti che viaggio è? E senza un po' di templi e di pietre antiche che si viene a fare in India? Dopo una lunga contrattazione Alberta è riuscita ad ottenere l'autista e la macchina che desiderava. Siamo in tre, si è aggiunta Elisabeth, una francese di Marsiglia. Logicamente la mattina alle 8 e 30 si presenta un altro autista con un'altra macchina; Alberta non demorde ed alle dieci riusciamo finalmente a partire in direzione Hampi, con una comoda macchina giapponese ed un timido autista zoppo di nome Johnny. Per un po' si costeggia l'oceano con le sue spiagge di pescatori e la vegetazione tropicale; entriamo nello stato del Karnataka e attraversiamo un enorme fiume prima di addentrarci verso l'interno dell'enorme e triangolare penisola indiana. Il tragitto in macchina è molto bello, e consente di ammirare la vegetazione, con foreste dalle piante più strane, a me sconosciute, insieme a quelle conosciute come gli enormi banyan, l'albero di Budda; più avanti le piante lasciano il posto alle coltivazione di cotone ed all'agricoltura. E poi c'è lo spettacolo degli indiani, nelle città che si attraversano, nei villaggetti lungo la strada, intenti a lavorare i campi, nelle fabbriche di mattoni o nella manutenzione delle strade, in particolare le donne stupende macchie di colore. Ovunque ci si fermi o semplicemente perché la macchina rallenta, si forma attorno a noi un gruppetto di bambini e di adulti che ci guarda, sorride e con la massima serenità ci domanda il classico "what's your name" e "where are you from". Ci fermiamo in un piccolo localino lungo la strada a bere del chai, il tè indiano con latte, zucchero e speziato con cardamomo; le tazze sono sporchissime ma l'atmosfera è deliziosa. Scopriamo che Johnny il nostro autista non è mai stato ad Hampi ed ogni tanto sbaglia strada. Non abbiamo trovato molto traffico, anche se ci sono un po' ovunque grossi camion Tata che rallentano di molto la marcia. Alle sette di sera le nove ore di viaggio cominciano a farsi sentire; abbiamo deciso di dormire nelle piccole guest-house vicino al tempio, e non nella più comoda Hospet. Con difficoltà e grazie alle bugie dell'Alberta riusciamo a superare tutti gli sbarramenti e i controlli ed arriviamo con la macchina proprio dentro Hampi Bazar. Purtroppo le camere sono tutte prese a quest'ora, non c'è un posto libero, ci dicono tutti di tornare la mattina successiva; l'ultimo e disperato tentativo si rivela fruttuoso e riusciamo a trovare due stanze, molto molto spartane, praticamente c'è solo un letto con la zanzariera, ma in compenso davvero economiche e con splendida vista sul tempio principale. Ci sistemiamo e scendiamo al ristorante più vicino per la cena, sono quasi a digiuno e mangio di gusto un ottimo pollo tandoori; in compenso sono costretto a nascondere la bottiglia della birra sotto il tavolo, perché in questo stato dell'India, a differenza di Goa, è vietato il consumo di alcolici. Ci rechiamo al tempio, che troviamo invaso da pellegrini provenienti da tutta l'India; comprendiamo la ragione del tutto esaurito, è in pieno svolgimento una delle più importanti feste religiose, Shivaratri, la notte del dio Shiva festeggiato con processioni e canti dei mantra. Nel tempio c'è un'animazione indicibile, ci sono persone sdraiate ovunque, che dormono, pregano, cantano. Lasciamo le scarpe e ci addentriamo nella parte più sacra del tempio, ovunque preghiere, bramini che dispensano riti, canti. E' un'atmosfera avvolgente e suggestiva, migliaia di pellegrini che celebrano il dio ed il suo simbolo il lingam. Il culmine della festa dovrebbe essere intorno alle due di notte, con la processione, purtroppo la stanchezza ha il sopravvento e a mezzanotte sono a letto, con il sottofondo delle percussioni che in un crescendo quasi erotico rendono tutta l'eccitazione della festa con un ritmo sempre più crescente.

19 Febbraio, Hampi
"Hampi, un tempo la gloriosa capitale del potentissimo impero Vijayanagara (1336-1565), che si estendeva dal Mare Arabico al Golfo di Bengala, e dall'altopiano del Deccan alla punta della penisola indiana." Così comincia il libricino in inglese che ho comprato da uno dei tanti bambini venditori. Capitale del maggiore impero indù della storia, la città fu bruciata e saccheggiata dai soliti fetenti mussulmani, e le rovine che si estendono su un'area di ventisei chilometri quadrati, sono state riscoperte solo nel secolo scorso e solo da pochi anni sottoposte ad attenti restauri. Quello che è particolare è la configurazione del sito, circondato da un paesaggio di spettacolari ed imponenti blocchi di granito, che crea una grossa suggestione per la fusione di pietre naturali e costruzioni in pietra.
La mattina come prima cosa ci trasferiamo nella guest house di fronte, e prendiamo delle stanze un po' più decenti. Alberta è già stata ad Hampi molte volte, e racconta che la prima volta era venuta per un giorno e ne era restata alla fine quindici. Ci suggerisce come primo assaggio la passeggiata fino al "big mango"; usciamo da Hampi Bazar e dalla sua piacevole atmosfera, e ci incamminiamo per la spettacolare valle del fiume Tungabhadra, che attraversa tutto il sito. Colpo d'occhio magnifico, quasi finto, il lento fiume, le mille pietre dalle forme più bizzarre, i cento templi, gli indiani che fanno le loro abluzioni al fiumi e le donne che stendono i loro coloratissimi panni. Procediamo attraverso una piantagione di banane e giungiamo alla fine sotto la chioma dell'enorme mango di più di trecento anni che domina tutta la valle. Sotto il mango è stato allestito un piccolo bar e ce ne restiamo per qualche ora a rilassarci con il paesaggio mangiando insalate di frutta fresca. Rimaniamo qui nelle ore più calde della giornata, in totale relax. Rientro in albergo sotto lo scoppio del sole ed il caldo implacabile. Alle quattro abbiamo appuntamento con Johnny per farci condurre fuori città al tempio Vittala, a circa sette chilometri. E' il tempio più spettacolare ed il capolavoro della civiltà Vijayanagara. La costruzione appare magnifica; si entra attraverso le mura da una delle tre porte sormontata da un gopuram, e si rimane colpiti dalla bellezza degli edifici, dall'incredibile numero di pilastri e di decorazioni, ovunque bassorilievi di elefanti, danzatrici, divinità. La luce del pomeriggio esalta al massimo la bellezza ed il silenzio del luogo; arrivano gruppi di visitatori indiani, ed i colori favolosi dei sari si stagliano sull'ocra della pietra. L'edificio centrale è realizzato con pilastri in granito, detti musicali, in quanto se percossi liberano le note in scala. Un'altra meraviglia di Vittala è l'enorme carro a quattro ruote in granito utilizzato per le processioni. Rientriamo a piedi in città, costeggiando il fiume tra sassi e resti archeologici di ogni tipo. Il sole tramonta dietro la grossa torre del tempio di Hampi mentre i contadini rientrano a casa dalla campagna; cena sulla terrazza dell'hotel, abbastanza cattiva, e giro serale con primo shopping della vacanza.


Seconda Parte


V i a g g i | K u r d i s t a n | F o t o I t a l i a | P r o v e r b i | R a c c o n t i
C i n e m a & v i a g g i | L i n k s | F i d e n z a & S a l s o | P o e s i e v i a g g i a n t i
B a n c o n o t e | M u r a l e s & G r a f f i t i | L i b r i O n l i n e | P r e s e n t a z i o n e
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