Progettato in origine come un "normale" tour turistico in solitaria, il viaggio narrato in questo libro diventa, dopo poche pagine, un'esperienza unica, con mete, visite e incontri del tutto anomali ed eccentrici rispetto a qualunque risaputo itinerario peruviano. Grazie all'incontro fortuito con una giovane antropologa, l'autore ha infatti accesso a luoghi, cerimonie, rituali normalmente preclusi, o addirittura proibiti, al viaggiatore straniero. Alle consuete ed esteriori espressioni da turista, si affiancano così, nel libro, esperienze vissute in prima persona che entrano nel cuore di una civiltà millenaria e nella tradizione più segreta del popolo "quechua" e della religione andina. Feste di paese e di matrimonio, danze, balli di corteggiamento, cerimonie inusuali in onore del bestiame e, soprattutto, inaccessibili rituali sciamanici si susseguono quindi lungo il percorso dell'autore che da Lima, Nazca, Arequipa, Moquegua, arriva fino alla "puna", agli altipiani del lago Titicaca, a Cuzco, ad Ayacucho, patria del "Sendero Luminoso", per terminare, sempre inerpicandosi sulla dorsale della Cordigliera, a Huaringas, luogo magico per eccellenza del Perù, dove i migliori "curanderos", gli stregoni più esperti, curano i loro pazienti in unasorta di "clinica delle Ande" a quattromila metri d'altezza.
Sciamani del Perù
L'esperienza riportata di seguito è tratta da uno studio del Direttore della Scuola di 
Antropologia dell'Universidad Nacional de San Agustìn (UNSA) di Arequipa.
Il dottor Jorge Paredes Rondon racconta.
"Una notte il signor Miguel si dirigeva verso casa, dopo aver trascorso alcune ore in compagnia
 di amici. Lungo la strada incontrò uno stagno che, attraversandolo, gli avrebbe fatto
 risparmiare molto cammino. Cercando di saltare un fossato nei pressi dell'acquitrino e pensando 
di giungere facilmente dal lato opposto, cadde pesantemente nell'acqua del laghetto, in quel punto
 coperta da un'ingannevole vegetazione, e provò una grande sensazione di vuoto in tutto il 
corpo, la vista gli si annebbiò; immaginò che sarebbe presto morto, visto che già 
le alghe l'avevano avvolto dalla testa ai piedi e gli impedivano di guadagnare la riva. Erano 
all'incirca le dieci della notte e, a quell'ora, non passava nessuno per di là. 
Miguel gridò disperatamente, ma tutto fu inutile, dal momento che non c'era anima viva che 
potesse sentirlo. Raccogliendo le ultime forze, lo sciagurato uomo riuscì, alla fine, ad 
arrampicarsi sulla riva ed in quell'istante fu investito da un'improvvisa corrente d'aria gelida 
che percorse il suo corpo, facendolo svenire. In qualche modo, senza rendersene conto, giunse a 
casa dopo le tre del mattino e, da allora, la sua vita cambiò tragicamente. Il poveraccio 
s'ammalò, fu preso da vertigini talmente violente da non poter reggersi in piedi e non fu 
più in grado di lavorare, visto che il mondo pareva girargli attorno vorticosamente, e 
dovette rimanere a letto tutto il tempo. Le mattine, inoltre, si svegliava con nausee molto
forti, che passavano solamente con il trascorrere delle ore e per tale motivo, spesso, non mangiava 
con conseguente notevole perdita di peso. Lo stato in cui Miguel si trovava, impensierì la 
moglie che non tralasciò nulla per ottenere la guarigione del consorte. I coniugi, accompagnati 
da conoscenti e parenti, visitarono ospedali e cliniche per richiedere consulti da parte di medici 
specialisti. Si recarono all'appuntamento con un neurologo che ricettò al paziente alcune pastiglie, 
il cui effetto fu di fargli addormentare la lingua e null'altro; consultarono un professionista
specializzato in malattie dello stomaco, il quale, pure, gli ordinò una quantità  di pillole 
che, almeno, ebbero il potere di calmare in parte la nausea ed i dolori addominali che a volte lo 
assalivano. Durante tutto questo tempo, l'ammalato fu sottoposto ad una serie di analisi e
radiografie che non contribuivano in alcuna maniera a chiarire l'origine del male. La famiglia 
decise, così, di consultare un neurologo rinomato, uno dei migliori in circolazione, che, 
dopo aver visitato il paziente varie volte ed essersi fatto pagare profumatamente, spedì il 
malcapitato ad un altro collega, specialista in malattie interne, ma tutto fu inutile.
Otto mesi di sofferenze, corse verso gli ospedali della provincia, visite, analisi, elettroencefalogrammi, 
prelievi, tentativi di cura, medicinali, spese onerose, ma sempre dolore, frustrazione, disperazione e, 
alla fine, rassegnazione. Un giorno, la famiglia ricevette la visita di un parente che, saputo 
della malattia del congiunto, propose a Miguel di rivolgersi ad un curandero di sua conoscenza, 
del quale si diceva un gran bene. L'uomo, giunto oramai allo sconforto, accettò, come ultima 
speme, la proposta del cugino. L'indomani, l'ammalato fu trasportato dai familiari fino all'abitazione 
dello sciamano, conosciuto con il nome di "Fratello Tomàs". Egli parlava in una strana
 lingua, un misto di quechua e spagnolo, ed era assistito da un ragazzino indio che fungeva da 
traduttore. Lo sventurato infermo narrò la sua storia e descrisse i sintomi della malattia 
allo stregone; quest'ultimo, al termine dell'esposizione, prese un pugno di foglie di coca da una 
piccola borsa multicolore e le lasciò ricadere sul piano di un tavolo, quindi chiese ad
ognuno dei presenti di raccogliere cinque foglie a testa e di disporle di fronte a lui. L'Hermano 
Tomàs, dopo aver abbondantemente bevuto sorsate di liquore da una bottiglia che teneva al suo 
fianco, iniziò ad esaminare, uno per volta, i mucchietti di coca, sollevando le foglie per 
lasciarle di seguito ricascare disordinatamente. Compiuto il rituale, tracannò un'altro
sorso di bevanda, quindi chiuse gli occhi ed iniziò una profonda meditazione che durò 
alcuni minuti. Terminato il raccoglimento, il curandero invitò i presenti a recitare tre 
"Padre Nostro", dopo di che, intonò una supplica in quechua che si protrasse per 
almeno mezz'ora. Il guaritore, di seguito, passò ad analizzare, a leggere per meglio dire, 
le foglie sparse sul tavolo ed emise la diagnosi. Miguel soffriva di "Mal de Susto" ed era stato
"imprigionato dalla terra". Fu fissato un nuovo appuntamento per il successivo venerdì, 
al fine curare una volta per tutte il malato. Il curandero raccomandò i familiari di reperire 
alcune cose essenziali per la terapia, quali una ciocca di capelli dell'infermo, uno scampolo di 
tela della camicia che indossava la notte dell'incidente, un suo pantalone, un altro pezzo di tela 
di un colore qualsiasi, mezzo chilo di coca, una bottiglia d'acquavite e sigarette di marca "Inca".
Il venerdì, verso le dieci della sera, l'Hermano Tomàs giunse a casa dell'infermo, 
accompagnato dal solito ragazzo. Il guaritore, alto e magro in modo impressionante, era vestito 
di un poncho multicolore, un berretto dello stesso colore e sandali di gomma realizzati
artigianalmente. Entrato in cortile, prese le cose che aveva chiesto e si ritirò da solo in 
un luogo appartato. Passarono circa dieci minuti, dopo di che il curandero si avvicinò ai 
presenti recando in mano un rudimentale bambolotto, costruito con i materiali che gli erano stati 
procurati e chiese alla moglie di Miguel un filo di lana, con il quale legò il pupazzo per il
collo. La comitiva si diresse verso lo stagno per individuare il luogo esatto dell'infortunio; 
davanti camminava lo stregone che trascinava per lo spago il fantoccio e dietro l'infermo, sorretto 
dai familiari, che seguiva esattamente le tracce lasciate dal pupazzo. Lungo tutto il tragitto,
l'Hermano Tomàs continuò incessantemente a mormorare le sue orazioni in quechua, 
ma, giunti che furono alla meta, il curandero iniziò a recitare il Padre Nostro in spagnolo 
ed il suo corpo si mise a tremare violentemente, come se lo stessero colpendo con delle sferzate 
e dalla gola gli uscì un ululato che fece rizzare i capelli ai presenti. Smise per qualche 
momento i suoi spaventosi lamenti, accese una sigaretta, dalla quale aspirava grandi boccate di 
fumo che esalava a fauci spalancate, bevve di seguito tre volte dalla bottiglia di liquore appesa 
al suo fianco, e poi proseguì le proprie preghiere, prima il Padre Nostro e successivamente 
una supplica alle sirene che vivono in tutti gli stagni. Improvvisamente, lo sciamano cadde in
estasi, inginocchiato al suolo e tutti i presenti sentirono un rumore sordo provenire dal centro 
del laghetto e videro delle bolle sollevarsi dall'acqua, come se qualcosa volesse risalire dal fondo. 
Una raffica di vento sferzò le persone e, in quel momento, il curandero si svegliò dal
sonno ipnotico, alzò il viso con aria compiaciuta, afferrò il burattino che aveva 
lasciato da un lato e lo mise nell'acquitrino con una pietra legata alle estremità; mentre 
lo immergeva nell'acqua, recitò altre orazioni, poi chiamò presso di sè l'ammalato 
e lo fece inginocchiare sul bordo della palude, raccolse un fascio di rami, che aveva in precedenza 
legato assieme a formare una frusta, chiese al paziente di chiudere gli occhi, mormorò
un'altra breve preghiera ed iniziò a colpire l'acqua varie volte con lo scudiscio. Ordinò, 
poi, a Miguel di riaprire gli occhi e, sferzando ancora la superficie dello stagno, gridò 
all'infermo di alzarsi ed il comando fu talmente categorico, che una forza nuova s'impossessò 
del corpo sofferente, infondendogli coraggio e sicurezza. Miguel, da allora e dopo mesi di angosce, 
vive in armonia con la sua famiglia, ha ripreso il lavoro e non è mai più ricorso all'aiuto 
di medici, nè per lui nè per i familiari; la fiducia nella medicina andina ha preso
il sopravvento.

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ultimo aggiornamento 20/10/2021